venerdì 22 febbraio 2013

Aforismi Vittorio Alfieri

Vittorio Alfieri

Il conte Vittorio Amedeo Alfieri è stato un drammaturgo, poeta e scrittore italiano. «Nella città di Asti, in Piemonte, il dì 17 gennaio dell'anno 1749, io nacqui di nobili, agiati ed onesti parenti».
Data di nascita: 16 gennaio 1749, Asti
Data di morte: 8 ottobre 1803, Firenze
  • Bisogna sempre dare spontaneamente quello che non si può impedire ti venga tolto.
  • Bisogna veramente che l'uomo muoia perché altri possa appurare, ed ei stesso, il di lui giusto valore.
  • Mi disturba la morte, è vero. Credo che sia un errore del padreterno. Non mi ritengo per niente indispensabile, ma immaginare il mondo senza di me: che farete da soli?
  • Il lusso - che io definirei l'immoderato amore ed uso degli agi superflui e pomposi - corrompe in una nazione ugualmente tutti i ceti diversi.
  • Chi molto legge prima di comporre, ruba senza avvedersene e perde originalità, se ne avea.
  • Sempre ho preferito tristo originale ad ottima copia.
  • Al giovenile | bollor tutto par lieve.
  • Alto, devoto, mistico ingegnoso; | grato alla vista, all'ascoltar, soave; | di puri inni celesti armonioso | è il nostro Culto, amabilmente grave.
  • Dalla paura di tutti nasce nella tirannide la viltà dei più.
  • Eccoli al teso canape schierati | con altri assai: ma in lor possanza alteri, | né badan pure a que' minor corsieri, | sol l'un l'altro emulando in vista irati.
  • Far tacere un vecchio è cosa difficile. Far poi tacere un vecchio autore è cosa impossibile.
  • Io dico, e credo, e facile mi sarebbe il provare; che il libro è e deve essere la quintessenza del suo scrittore e che se non è tale, egli sarà cattivo, debole, volgare, di poca vita e di effetto nessuno.
  • La ragione ed il vero sono quei tali conquistatori, che, per vincere e conquistare durevolmente, nessun'altra arme debbono adoperare, che le semplici parole. Perciò le religioni diverse, e la cieca obbedienza, si sono sempre insegnate coll'armi; ma la sana filosofia e i moderati governi, coi libri.
  • Leggere, come io l'intendo, vuol dire profondamente pensare.
  • Non perdo mai occasione d'imparare a morire; il più gran timor ch'io abbia della morte è di temerla.
  • Spesso è da forte, | più che il morire, il vivere.
  • Schiavi or siamo, sì; ma schiavi almen frementi.
  • Tirannide indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.
  • Ove son leggi | tremar non dee chi leggi non infranse.
  • Verace o finta, è da temersi sempre | pietà di plebe.
  • Volli, e volli sempre, e fortissimamente volli.
  • Il parlare, e molto più lo scrivere di sé stesso, nasce senza alcun dubbio dal molto amor di sé stesso.
  • Non voglio a questa mia Vita far precedere né deboli scuse, né false o illusorie ragioni, le quali non mi verrebbero a ogni modo punto credute da altri; e della mia futura veracità in questo mio scritto assai mal saggio darebbero.
  • Ingenuamente confesso, che allo stendere la mia propria vita inducevami, misto forse ad alcune altre ragioni, ma vie più gagliardo d'ogni altra, l'amore di me medesimo: quel dono cioè, che la natura in maggiore o minor dose concede agli uomini tutti, ed in soverchia dose agli scrittori, principalissimamente poi ai poeti, od a quelli che tali si tengono.
  • E mi ricordo, tra l'altre, che nella Biblioteca Ambrosiana, datomi in mano dal bibliotecario non so più quale manoscritto autografo del Petrarca, da vero barbaro Allobrogo, lo buttai là, dicendo che non me n'importava nulla.
  • L'aver con chi piangere menoma il pianto d'assai.
  • Mai si può veramente ben conoscere il pregio e l'utilità d'un amico verace, quanto nel dolore.
  • Oh, quanto è sottile, e invisibile quasi la differenza che passa fra il seme delle nostre virtù e dei nostri vizi.
  • Onde io imparai sin da allora, che la vicendevole paura era quella che governava il mondo.
  • Tutti gli amori dell'uomo, ancorché diversi, hanno lo stesso motore.
  • E così affibbiatomi questo nuovo ordine, che meritatolmi o no, sarà a ogni modo l'invenzione ben mia, s'egli non ispetterà a me, l'imparziale posterità lo assegnerà poi ad altri che più di me se lo sia meritato.
  • A rivederci, o lettore, se pur ci rivedremo, quando io barbogio, sragionerò anche meglio, che fatto non ho in questo capitolo ultimo della mia agonizzante virilità.
  • Meglio è morir, che trarre | Selvaggia vita in solitudin, dove | A niun sei caro, e di nessun ti cale.
  • Quanto in rimirar le umane | Cose, diverso ha giovinezza il guardo, | Dalla canuta età!
  • Soglionsi per lo più i libri dedicare alle persone potenti, perché gli autori credono ritrarne chi lustro, chi protezione, chi mercede.
  • Non sono, o DIVINA LIBERTÀ, spente affatto in tutti i moderni cuori le tue cocenti faville: molti ne'loro scritti vanno or qua or là tasteggiando alcuni dei tuoi più sacri e più infranti diritti.
  • Ma quelle carte, ai di cui autori altro non manca che il pienamente e fortemente volere, portano spesso in fronte il nome o di un principe, o di alcun suo satellite; e ad ogni modo pur sempre, di un qualche tuo fierissimo naturale nemico.
  • Non è meraviglia, se tu disdegni finora di volgere benigno il tuo sguardo ai moderni popoli, e di favorire in quelle contaminate carte alcune poche verità avviluppate dal timore fra sensi oscuri ed ambigui, ed inorpellate dall'adulazione.

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