domenica 31 marzo 2013

Aforismi Heinrich Böll

Heinrich Böll

Heinrich Boll è stato uno scrittore tedesco. E' considerato uno dei massimi esponenti della letteratura tedesca del secondo dopoguerra e fu insignito del Premio nobel per la letteratura nel 1972.
Data di nascita: 21 dicembre 1917, Colonia

Data di morte: 16 luglio 1985, Langenbroich

Libri Heinrich Böll

  • Gli studenti si ribellano perché in essi si desta una nuova coscienza.
  • Vi sono dei limiti oltre i quali l'idiozia dovrebbe essere controllata.
  • Quello che gli altri chiamano reale, a me sembra una finzione.
  • Io sono un clown, e faccio collezione di attimi.
  • Un artista ha la morte sempre con sé, come un bravo prete il suo breviario.
  • Gli atei annoiano perché parlano sempre di Dio.
  • La gente ricca riceve molti più regali di quella povera; e quello che deve proprio comprare, lo ha sempre molto più a buon prezzo.
  • Per un professionista non c'è modo migliore di mimetizzarsi che mescolarsi ai dilettanti.
  • Quando sono ubriaco, sulla scena eseguo senza precisione dei movimenti che solo la precisione giustifica e cado nell'errore più penoso che un clown possa fare: rido delle mie stesse trovate.
  • Quello che sta fuori – a questo mondo ciascuno sta fuori rispetto agli altri – trova una cosa sempre peggiore o migliore di quello che ci sta dentro.
    • Tutti sanno, cioè, che un clown dev'essere malinconico per essere un buon clown, ma che per lui la malinconia sia una faccenda seria da morire, fin lì non arrivano.
    • Io sarei rimasto a lungo così, con il ricevitore in mano, solo per sentirla respirare.
    • Ero così disperatamente infelice che non riuscivo più nemmeno a piangere.
    • Per la prima volta mi ero reso conto di quanto terribili possano essere gli oggetti che una persona lascia dietro di sé quando va via o muore.
    • Avevo voglia di piangere: la biacca sul viso me lo impediva, era così perfetta con quelle crepe, con quei punti in cui il gesso cominciava a sfogliarsi; le lacrime avrebbero rovinato tutto.
    • Solo che io non sono affetto soltanto da malinconia, mal di testa, indolenza e dalla mistica facoltà di sentire gli odori per telefono. Il più terribile dei miei mali è la predisposizione alla monogamia; c'è una sola donna con cui posso fare tutto quello che gli uomini fanno con le donne: Maria. E da quando lei se n'è andata, vivo come dovrebbe vivere un monaco, con la differenza che io non sono un monaco.
    • Ho già rinunciato da molto a parlare con qualcuno di denaro o di arte. Dove le due cose vengono in contatto, la faccenda non funziona mai: l'arte o è troppo pagata o troppo poco.
    • Neppure il demonio riesce ad avere gli occhi d'Argo che hanno i vicini di casa.
    • Non capivano che il segreto dell'orrore sta nel particolare. È molto facile, un gioco da bambini, pentirsi di gravi colpe: errori politici, adulterio, assassinio, antisemitismo. Ma chi perdona il particolare? Chi comprende i dettagli?
    • Io non voglio perdere la mia anima, voglio riaverla.
      • C'é una bella parola: niente. Non pensare a niente. Non al Kanzler né al Katholon, pensa al clown che piange nella vasca da bagno, mentre il caffè gli gocciola sulle pantofole.
      • Aggrapparsi al passato è ipocrisia, perché nessuno conosce gli attimi di cui è fatta una vita.
      • Nell'esercizio anche del più umile dei mestieri, lo stile è un fatto decisivo.
      • È già amaro commettere delle sciocchezze, ma le sciocchezze inutili sono quanto di più amaro ci sia.
      • Talvolta mi pare di non aver cominciato ad amarlo che il giorno in cui compresi quanto disprezzasse le leggi.
      • In guerra mi ubriacavo di noia. Non puoi credere come ci possa ubriacare di noia; finisce che poi te ne stai a letto e tutto ti gira davanti agli occhi. Prova a bere tre secchie d'acqua tiepida, ti ubriacherai d'acqua... come di noia.
      • Vorrei sapere per esempio perché mi hai sposata." "Per via della colazione" spiegai. "Cercavo qualcuno con cui poter fare colazione per tutta la vita, e la mia scelta – così si dice, no? – cadde su di te. Sei stata una magnifica compagna di colazioni. E con te non mi sono mai annoiato. Neanche tu con me, spero.
      • Lo inchiodarono alla croce, lo inchiodarono alla croce... e non disse nemmeno una parola.
      • Miliardi di cimici e di pidocchi, di pulci e di zanzare si mettono in moto appena scoppia una guerra, obbedendo al muto comando che dice loro che ci sarà qualcosa da dare.
      • Non ho mai parlato di uomini in gamba, perché gli uomini in gamba li ho sempre odiati, non riesco a immaginarmi niente di più noioso di un uomo in gamba.
        • La guerra è sempre buona per una sceneggiatura, perché dietro c'è il fatto per eccellenza: la morte, che attira la vicenda verso di sé, la tende come una pelle di un tamburo, che ritorna al minimo tocco del dito.
        • Il Paradiso è un mercato nero dove c'è di tutto?
        • La siringa: strano, misterioso strumento di vetro e di nichel, minuscolo e pulito, troppo pulito, animaletto a forma di libelulla dal becco di colibrì, diafano colibrì che si riempiva il ventre pompando da una fialetta di vetro e infilava poi il grifo puntato nel braccio della nonna.
        • Quando sua madre, di notte, metteva in moto il ventilatore, Martin si destava, benché le ali di gomma dell'apparecchio non producessero che un rumore assai lieve: una specie di molle ronzio, che di tanto in tanto si arrestava, quando la tendina s'impigliava tra le pale. Sua madre, allora, scendeva dal letto, andava, imprecando sottovoce, a liberare la tendina dal congegno e la serrava tra i battenti della biblioteca. Il paralume della lampada a stelo di sua madre era verde: un bel verde acqua, imbevuto di luce gialla. Il bicchiere di vino rosso che stava sul tavolino da notte gli pareva quasi inchiostro: un veleno scuro, greve, che sua madre beveva a piccoli sorsi. Essa leggeva e fumava, e solo di rado prendeva un sorso di vino.
        • Era già buio quando arrivai a Bonn. Feci uno sforzo per non dare al mio arrivo quel ritmo di automaticità che si è venuto a creare in cinque anni di continuo viaggiare: scendere le scale della stazione, risalire altre scale, deporre la borsa da viaggio, levare il biglietto dalla tasca del soprabito, consegnare il biglietto, dirigersi verso l'edicola dei giornali, comprare le edizioni della sera, uscire, far cenno a un tassì. Per cinque anni quasi ogni giorno sono partito da qualche luogo, la mattina ho disceso e salito scale di stazioni, il pomeriggio ho disceso e risalito scale di stazioni, ho chiamato un tassì, ho cercato la moneta nella tasca della giacca per pagare la corsa, ho comperato giornali della sera alle edicole e, in un angolo riposto del mio io, ho gustato la scioltezza perfettamente studiata di questo automatismo. Da quando Maria mi ha lasciato per sposare Züpfner, quel cattolico, il ritmo è diventato ancor più meccanico, senza perdere in scioltezza.
        • La protagonista femminile dell'azione, nella prima parte, è una donna di quarantotto anni, germanica: alta m. 1,71, pesa Kg 68,8 (in abito da casa), perciò ha solo 300– 400 grammi meno del peso ideale. Ha occhi cangianti tra il blu cupo e il nero, capelli biondi molto folti e lievemente imbiancati, che le pendono giù sciolti, aderendole al capo, lisci, come un elmetto. Questa donna si chiama Leni Pfeiffer, nata Gruyten, e per trentadue anni, naturalmente con interruzioni varie, ha subito quello strano processo che si chiama processo lavorativo: per cinque anni come impiegata priva di ogni preparazione professionale nell'ufficio del padre; per ventisette come operaia, ugualmente non qualificata, nel ramo della floricultura. Poiché, in un momento inflazionistico, si è disfatta con molta leggerezza di una cospicua proprietà immobiliare, una non disprezzabile casa d'affitto nella città nuova, che oggi varrebbe non meno di centocinquantamila marchi, è piuttosto priva di mezzi, dopo aver lasciato il suo lavoro senza un serio motivo, non essendo né vecchia né malata. Poiché nel 1941 è stata moglie per tre giorni di un ufficiale di professione della Wehrmacht, oggi riscuote una pensione di vedova di guerra, cui non si è ancora aggiunta una pensione dell'assicurazione sociale. Si può dunque dire che Leni, al momento - e non solo dal punto di vista finanziario - fa una vita da cane, specie da quando il suo amato figliuolo sta in galera.
        • Presso la pretura di Birglar fu celebrato ai primi di autunno dell'anno passato un processo sul cui svolgimento l'opinione pubblica ebbe notizie molto scarse. I tre giornali più diffusi nel circondario di Birglar, cioè "La rassegna renana", "Il quotidiano del Reno" e "Il Messaggero della Duhr" che nelle loro rispettive rubriche "Dalla sala della pretura", "Nell'aula della pretura" e "Novità dalle preture" pubblicavano ampi resoconti sui furti di bestiame, gravi infrazioni alle norme del traffico, baruffe alle fiere annuali e via dicendo, si limitarono per quell'occasione a un magro comunicato che, cosa assai sorprendente, risultava identico in tutti e tre i giornali: "Giudice bonario per i Gruhl padre e figlio. Una delle personalità più amate e note della capitale del nostro circondario, il Pretore Capo Dr. Stollfuss, a cui in questa sede ci riserviamo di tributare il riconoscimento che merita, ha diretto, quale suo ultimo dibattimento prima di andare in pensione, il processo contro tali Giovanni e Giorgio Gruhl di Huskirchen il cui incomprensibile gesto, commesso nello scorso giugno, aveva suscitato l'indignazione di qualcuno. A conclusione del dibattito, concluso in una giornata, i due Gruhl sono stati condannati al risarcimento completo dei danni e a sei settimane di prigione. Hanno accettato il mite verdetto dopo essersi brevemente consultati col loro difensore, avvocato Hermes di Birglar. Tenuto conto del periodo di reclusione durante l'istruttoria, i due sono stati rimessi subito in libertà."

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